Vernacolese

sabato, ottobre 14, 2006


EDUCARE

Educare, parola facile da pronunciare, parola difficile da tenere a mente parola che comporta una presa di coscienza da parte dei genitori, diretti interessati, poi da parte delle istituzioni. Vivendo in una società dove tutto è portato all’estremo, anche il rapporto genitori – figli subisce questa influenza. Alcune mamme sono preoccupate per i figli perché non ubbidiscono più e le fanno disperare. Queste mamme non si rendono conto, per il loro amore filiale, che i figli non sono sempre figli da accudire, da tenere “sotto una campana” per difenderli dai pericoli esterni, ma devono rendersi conto che i figli li educhiamo per essere futuri cittadini, liberi, autonomi e creativi, come recita la Riforma scolastica. Io non posso sempre “aiutare” l’allievo quando è in difficoltà, perché se gli porgo sempre la soluzione della domanda, in quel momento ho distrutto la sua autostima, la sua creatività; ma lo devo incoraggiare facendogli capire che la soluzione è alla sua portata, perché è bravo. Lui, ve lo assicuro, poco dopo, mi ha trovato la soluzione. Dunque, care mamme liberatevi da quell’ amore filiale che vi fa considerare vostro figlio una proprietà, caratteristica di molte famiglie, voi non potete decidere per lui, ma potete consigliarlo, guidarlo e accompagnarlo con responsabilità e fermezza nella sua crescita. Per me, non esiste il genitore amico, gli amici sono estranei al nucleo famigliare, gli amici sono un’altra cosa. Mi fanno ridere quei padri che si fanno chiamare per nome dal bambino. Il ruolo di padre non consente amicizie, per accattivarsi le simpatie del figlio. Facciamone a meno di questa modernità. La decadenza della famiglia è avvenuta proprio per questo, si sono mischiati i ruoli. Il padre che veste jeans e felpa come il figlio, ma ci rendiamo conto? Che cosa vuole dimostrare che è ancora giovane? Che può competere col figlio? Beh, a me non sta bene. Il rapporto padre e figlio deve essere sempre improntato sulla differenza di ruoli. I genitori devono ascoltare i figli, capire, chiedere, se tu genitore torni la sera e saluti tuo figlio con un ciao e ti rifugi nello studio aspettando la cena, tu non hai stabilito nessun rapporto col figlio. Ma, dopo esserti messo a tuo agio, dopo una giornata di lavoro, vai nella sua stanzetta e incominci a chiedergli se ha fatto i compiti (purtroppo ci sono ancora colleghi che caricano di compiti a casa), gli chiedi come è andata la giornata scolastica, con chi ha bisticciato o meno, lui ti chiederà come è andata la tua giornata e gli risponderai a tono, perché lui comprende i discorsi dei grandi, vedrai che hai stabilito un rapporto sereno e duraturo con tuo figlio. Perché i figli non crescono più? Perché stanno bene a casa, si rende la vita facile, comoda, ma non si rendono conto che stanno perdendo la loro libertà la loro autonomia. Un altro motivo della fragilità della famiglia è dovuta, secondo me, al fatto che superata la fase del provvedere alla sopravvivenza del bambino, è subentrata la coscienza di educarli. Oggi le famiglie sono fragili, hanno bisogno di essere ascoltate, di essere aiutate, consigliate. Quante famiglie si sciolgono, vanno alla deriva, perché succede con una certa frequenza? Perché le giovani coppie non sono state educate alla convivenza, non sono pronte a sopportare responsabilità, non è colpa loro. Sarebbe facile scaricarci dalle responsabilità anche noi operatori. Quante mamme di alunni si sono confidate, hanno chiesto consiglio. Si vedeva che traspariva ansia e desiderio di aiuto. Quanti alunni ho avuto in classe con genitori separati! Guardare il loro viso triste, mi metteva ansia e rabbia. Pensavo.- Ma come si fa a traumatizzare un bambino. Adesso non voglio generalizzare, perché capisco che in certe situazioni è meglio la separazione di una convivenza basata sull’odio e sulla violenza. Ma un consiglio mi permetterete di dare: state con i vostri figli il più possibile.