Vernacolese

mercoledì, marzo 21, 2007



CHE COSA C’ E’ DA DIRE…
Che cosa c’è da dire di più di quello che è stato già detto e soprattutto scritto, sul bullismo, sulla ex famiglia, sui pacs, sui dico, sulla decisione di far abortire una tredicenne che poi è impazzita dal dolore…Che cosa c’è da dire?
C’ è molto da dire e soprattutto da fare, perché non si vedono risultati, non si vedono iniziative atte ad aiutare le famiglie, consigliare i giovani…si scrive, si discute nei forum, punto. Il mio datore di lavoro, l’on. Fioroni, invece ha iniziato una campagna lodevole per estirpare la piaga del bullismo dalla scuola. Punire severamente il colpevole. Ma c’è veramente un colpevole, signor Ministro? Non è il bullo stesso una vittima? Punire non serve a niente se non acuire di più il rancore del giovane verso la comunità. Sì, parlo di rancore perché non posso immaginare un ragazzo che ho cresciuto alle elementari per 5 anni, diventare un bullo di quartiere. Con tutta la buona volontà, non ci riesco. Evidentemente dobbiamo entrare nella casa del bullo e guardare negli armadi e sotto i tappeti e scovare gli scheletri. La violenza è l’unica risposta all’ assenza della famiglia. Ma la scuola e le istituzioni sono autorizzate a entrare nelle case? Sono accolte dalla famiglia con quell’ ansia che caratterizza chi ha bisogno di aiuto, o fanno solo finta di accettare la presenza degli operatori? Chi ha la preparazione giusta? e soprattutto chi deve iniziare le danze? Perché è urgente iniziare le danze, l’ho chiarito già in un altro articolo. Sono pessimista da questo punto di vista, perché il chi non c’è. Il chi è colui il quale, reduce dal sessantotto non ha saputo trarre la dovuta lezione. La contestazione giovanile partì dalle scuole per investire ogni aspetto della vita sociale, fallendo quasi tutti i suoi obiettivi e nella scuola dalla quale era partita, ha fatto danni forse irreparabili. «Vogliamo tutto» «Proibito proibire» e altri simili slogan scanditi nelle piazze e destinati a spegnersi già nei secondi anni ’70, hanno riecheggiato nelle aule scolastiche per 40 anni, dando i loro frutti. E i frutti si chiamano indisciplina, bullismo, sfida aperta all’autorità, buonismo pedagogico che ha fatto più danni delle bacchettate di antica memoria. Finalmente i nodi vengono al pettine: già vent’anni fa criticavo i Decreti delegati del 1974, permettevano ai genitori degli alunni di prendere parte alla loro vita scolastica, di dire la propria in merito a tutte le questioni riguardanti la scuola, di chiedere conto di ogni decisione presa dai professori. Quella che doveva essere una partecipazione democratica alla vita della scuola, s’è trasformata in ingerenza. Non c’è stato progetto, provvedimento, semplice idea dell’insegnante che non sia passata al vaglio familiare. Un fabbro, un muratore, un architetto, un avvocato, hanno imposto le loro idee in materia didattica a chi aveva una laurea in pedagogia, in lettere, in psicologia, e superato un concorso davanti ad altri professori. La scuola ha avuto paura dei genitori (per un niente fioccano le denunce, quando non si abbattono mazzate) e s’è piegata al loro volere. I ragazzi hanno fatto di questa paura un’arma, dandosi alla pazza gioia, minacciando per un nonnulla l’arrivo di mamma e papà. Un altro fattore negativo è stata la politica. Ad ogni nuovo governo c’è una nuova riforma. I presidi, gli insegnanti, non hanno tempo di organizzarsi secondo la Riforma Tizio, che arriva la Riforma Caio. È il caos. Ognuno fa come gli pare, su tutto. Per esempio, nella valutazione, c’è chi esprime il giudizio coi numeri, chi con le lettere, chi con gli aggettivi, chi col giudizio. Ma in ogni caso, sono tutti promossi (è il «6 politico» con altri nomi) e allora perché affaticarsi a studiare? Allora che bisogna fare? Ricominciare a parlare con i giovani, ricominciare a dettare le regole della buona convivenza, ricominciare a fare i genitori, ricominciare a fare gli insegnanti, ricominciare a fare i dirigenti, ricominciare a far stare le donne a casa con bambini piccoli, ma con lo stipendio, come diceva il grande Almirante già alla fine degli anni ’70. La mamma, questa è la parola magica! La donna, con il suo ruolo nella società, con l’accudire i figli, soddisfare le esigenze del marito (spesso irriconoscente), va in tilt. Quindi tutti ne soffrono, i bambini soprattutto. Un rapporto dell’Unicef, afferma che i bambini dei Paesi ricchi vivono male a livello psicologico e quelli inglesi sono messi proprio male. Una donna dice che non si sente realizzata a casa, deve lavorare, ma va là! Perché a casa che fa, non lavora? Si vergogna quasi di affermare: - Faccio la mamma e la casalinga - Allora bisogna ricreare il vecchio clima: la donna a casa con uno stipendio. Auguri.

1 Comments:

At 2:23 PM, Anonymous Anonimo said...

Good words.

 

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