Vernacolese

giovedì, aprile 02, 2009


Diliberto ne ha detta un’altra delle sue. Il leader del Pdci, che sta cercando di confluire nella Rifondazione comunista di Paolo Ferrero, non è nuovo a espressioni grevi e politicamente violente. Ieri, intervistato da Maria Latella su Skytg24, ha superato persino le sue peggiori performance del passato. Due frasi colpiscono. La prima dice: «Noi odiamo Berlusconi». La seconda: «Noi comprendiamo gli operai francesi che hanno sequestrato Francois-Henri Pinault». Un risultato Diliberto lo ha raggiunto. Oggi le sue espressioni figureranno in tutte le note politiche di giornata e già ieri trovavano spazio nei tg serali. Per un partito sparito dal Parlamento è un bel successo. Diliberto è così uscito dal cono d’ombra e ha ripreso il centro della scena. Se questa è la carta di identità del partito che dovrà unificare tutti i comunisti (e Cesare Salvi con loro) si comincia proprio male.
La crisi della sinistra moderata e la scomparsa della sinistra radical trovano una spiegazione proprio dall’esistenza di una cultura come quella di Diliberto. C’è tutto un mondo che non ha più alcuna voglia di ascoltare queste sirene e viene sospinto da frasi come questa verso l’astensione. C’è un’altra ragione, oltre la fuoriuscita dall’anonimato, dietro le espressioni violente di Diliberto? Il leader neo-comunista sente che i margini di recupero elettorali si sono fatti molto stretti. In tutti questi mesi non si è sentita la mancanza di forze radical nella vita parlamentare per due ragioni. La prima è che esse rappresentano un’Italia che va scomparendo. Il voto che ha cancellato intere forze politiche dalle scene parlamentari non è figlio di un destino cinico e baro ma ha rivelato l’esaurimento della capacità di attrazione e consenso della sinistra massimalista e violenta.
La seconda ragione è che le posizioni che tendono a criminalizzare l’avversario sono patrimonio indiscusso del partito di Di Pietro. La performance di Diliberto vuole recuperare a sinistra quei voti che si stanno dirigendo verso l’accrocco giustizialista. Il leader del Pdci vuole fare concorrenza all’ex pm, a Beppe Grillo, a Marco Travaglio.